La “normalizzazione” dei lavoratori in trattamento presso i servizi tossicodipendenze

La “normalizzazione” dei lavoratori in trattamento presso i servizi tossicodipendenze

La “normalizzazione” dei lavoratori in trattamento presso i servizi tossicodipendenze
(La ricerca è stata pubblicata nel fascicolo dal titolo La differenza nascosta, a cura di Giuseppe Bortone, Cgil & Forum Droghe, 2006)

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Introduzione

Nell’ultimo decennio, con l’affermarsi delle politiche di riduzione del danno, è cambiata la filosofia dell’intervento dei servizi per le tossicodipendenze. L’astinenza non è più considerata il prerequisito per entrare in trattamento e, a sua volta, il completamento del trattamento non è considerato la premessa indispensabile per il reinserimento sociale e lavorativo. L’obiettivo principale della cura diventa la “stabilizzazione” sociale del consumatore problematico, di cui l’inserimento lavorativo è strumento fondamentale. L’utilizzo sempre più largo del farmaco sostitutivo a mantenimento (metadone e più recentemente buprenorfina) è funzionale all’obiettivo della stabilizzazione. I dati relativi all’utenza in trattamento presso i Sert, come emergono dalla recente ricerca Vedette su scala nazionale, ad esempio, confermano che la maggioranza dell’utenza svolge un’attività lavorativa. L’ipotesi che la stabilizzazione sociale influisca positivamente sul contenimento dei consumi, oltre che sull’insieme della struttura di vita della persona, è confermata da diverse ricerche sulla remissione spontanea, o risoluzione naturale. La possibilità di mantenere un “capitale sociale” valido (di cui il lavoro rappresenta parte fondamentale) influisce positivamente sia sulle capacità di coping del consumatore nel conciliare i consumi con la “struttura di vita”, sia sull’autostima e l’aspettativa di poter raggiungere l’astinenza quando si decida in tal senso (Cohen, 1999; Scarscelli, 2003). D’altro lato, la ricorrenza di “eventi favorevoli”durante il percorso di remissione, quali un riconoscimento sul lavoro o una migliore posizione lavorativa, risulta correlata positivamente agli esiti del percorso, sia in vista dell’obbiettivo dell’astinenza, che in quello del consumo controllato (Tucker, Pukish King, 1999).

Tuttavia, la stabilizzazione del consumatore non rappresenta ancora la sua “normalizzazione”. Il primo termine focalizza prevalentemente gli aspetti oggettivi, concernenti il fattore biologico (il trattamento con farmaco sostitutivo mira infatti in primo luogo a proteggere la persona dalla sindrome di astinenza), come quello sociale (allude ad una struttura di vita più stabile, appunto).

Il concetto di “normalizzazione”nasce originariamente nell’ambito delle problematiche di apprendimento come sinonimo di “integrazione”, in opposizione alla pratica della separazione dei soggetti che hanno difficoltà di scolarizzazione. L’obiettivo della normalizzazione è quello di “rendere possibili, stabilire, e/o mantenere ruoli sociali validi” (Orford, 1992). Per Orford, il concetto ha particolare interesse in psicologia di comunità perché può essere applicato a molti gruppi “svalorizzati”. Rispetto alla stabilizzazione, la normalizzazione illumina un aspetto più propriamente psicologico, ossia la valorizzazione degli aspetti normali nella vita dei soggetti in difficoltà. Ciò implica un riconoscimento di abilità del consumatore più o meno problematico da parte della comunità, che influisce sinergicamente sull’incremento dell’autostima e della self efficacy degli stessi soggetti. La normalizzazione contrasta perciò ogni forma di etichettamento del consumatore, nonché di patologizzazione dei consumi (Meringolo, Zuffa, 2001).

Esiste inoltre una ampia letteratura che contrasta con l’ipotesi di “cronicità” e “irrecuperabilità” della dipendenza, almeno nelle ricerche condotte sull’insieme della popolazione (Cohen e Sas, 1994; Decorte, 2001; Shewan e Dalgarno, 2005). Inoltre, le credenze e le aspettative positive dei consumatori circa la loro capacità di controllare il consumo o di giungere all’astinenza si dimostrano importanti predittori di successo (Orford e Keddie, 1986; Miller e Rollnick, 2002).

Nell’ambito dei modelli di interpretazione del consumo di droga, il concetto di normalizzazione trova il suo ambito nel paradigma di riduzione del danno (che in ambito psicologico si ispira alla prospettiva dell’apprendimento sociale): il modello di riduzione del danno si differenzia sia dal modello morale, che da quello disease (Marlatt, 1997). Rispetto ai trattamenti con sostanze sostitutive (eroina, buprenorfina, e, in alcuni paesi europei, eroina),  occorre precisare che questi possono assumere significati differenti in ambito sociale e psicologico: possono essere rappresentati come rimedio ad una malattia su base biologica “cronica e recidivante”, in linea con il modello disease; oppure come strumento a valenza in primo luogo sociale, di riduzione del danno rappresentato dallo status illegale delle droghe. In questo senso, i trattamenti con oppiacei a lungo termine segnalano una maggiore tolleranza della comunita’ nei confronti del consumo di droghe illegali: il quale non e’ piu’ visto come un deficit della comunita’ da eliminare, ma come un aspetto della comunita’ stessa che richiede innanzitutto un mutamento di rappresentazione sociale (Merlo, 1997).

Obiettivi della ricerca

La ricerca è stata promossa da Forum droghe, con la collaborazione e la sponsorizzazione della Cgil nazionale, dipartimento Welfare, al fine di indagare i mutamenti avvenuti sin dagli anni ’90 nell’orientamento dei servizi e nella soggettività degli utenti. L’obbiettivo è di verificare se all’evoluzione del modello trattamentale, di cui si è detto, con l’inserimento (o il mantenimento) al lavoro dei consumatori problematici, corrisponda una effettiva normalizzazione degli stessi, verificando la loro percezione di sé nel doppio ruolo di lavoratori/utenti, e l’accettazione percepita da parte del “microsistema” ambiente di lavoro.

Si ipotizza altresì che una eventuale integrazione percepita nell’ambiente lavorativo rinforzi l’efficacia del trattamento, influendo sulla percezione di sé del consumatore come soggetto abile e incrementando la self efficacy.

Si vuole inoltre verificare se il sindacato possa avere un ruolo di promozione nel processo di normalizzazione dei consumatori.

Metodo della ricerca

Si è scelto di utilizzare la ricerca qualitativa, volendo focalizzare le problematiche, squisitamente soggettive, di percezione di sé e del contesto da parte dei consumatori, e volendo saggiare la costruzione sociale della presenza dei lavoratori/utenti nei luoghi di lavoro.

Partecipanti

La ricerca ha interessato 3 comuni (Faenza, Mestre, Borgo S.Lorenzo).Sono stati contattati 10 utenti dei servizi tossicodipendenze in ciascuna località. I comuni hanno differenti caratteristiche: da Mestre, che fa parte di un grande bacino industriale, a Faenza, piccolo centro a vocazione artigianale e terziaria, a Borgo S.Lorenzo, paese della provincia di Firenze situato in una zona di svariate attivita’ produttive (Mugello). Gli utenti sono stati selezionati con criterio “a palla di neve”.

Nelle stesse località, si è contattato il responsabile della Camera del lavoro per le problematiche sociali che ha contattato esponenti sindacali a vari livelli.

Strumenti

Si sono effettuate interviste semistrutturate agli utenti dei servizi, per un totale di 30 interviste. Si sono effettuati 3 focus group, ciascuno per ogni centro abitato, con la partecipazione di sindacalisti e lavoratori con diversa conoscenza ed esperienza della problematica.

L’analisi dei dati è stata condotta scegliendo il metodo della grounded theory, con una progressiva identificazione delle categorie di significato. Queste sono state raggruppate in macroaree, ciascuna delle quali composta da una serie di categorie, subcategorie e delle loro dimensioni, di cui è stata fatta una mappa concettuale riepilogativa attraverso schemi o “alberi” (Willig, 2001).

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